Nelle scorse settimane, Facebook ha annunciato che nei giorni successivi avrebbe smesso di suggerire Gruppi di discussione dedicati alla salute: una piccola notizia, si potrebbe dire, se non indicasse – nel delicato contesto sanitario che stiamo vivendo – un’ammissione di sconfitta da parte del social network circa la sua capacità di consentire il “free speech”, valore a cui Mark Zuckerberg si è sempre richiamato nei suoi interventi pubblici, ma nel contempo di proteggere i suoi utenti dalle sfide poste dalla disinformazione e dalle fake news.
La salute infatti, anche prima della crisi legata al Coronavirus, è un orizzonte di grande interesse per tutte le aziende digital a partire dalla consapevolezza che hanno registrato del crescente ruolo che possono giocare tanto dal punto di vista dell’informazione fornita ai pazienti sulle loro piattaforme quanto dal punto di vista della produzione di dati utili alle aziende del settore e alle istituzioni sanitarie: il caso più noto di piattaforma che esplicitamente permette il confronto e il mentoring su malattie e farmaci è “Patients like me” il cui modello di business è esplicitamente determinato dal generare informazioni ed evidenze per le case farmaceutiche.
Se quindi è vero che sempre più ci si rivolge al proprio medico per interrogarlo dopo che si sono fatte ricerche su “Dottor Google“, è però altrettanto significativo quanto la tecnologia stia fornendo nuovi strumenti per favorire, nel rapporto fra medico e paziente, il controllo da remoto (“telemedecina”), la digitalizzazione delle prescrizioni, la conservazione elettronica delle informazioni, la produzione di dati da parte di dispositivi “wearable” e, da ultimo, la somministrazione di “terapie digitali” (DTx) grazie all’uso di sensori biometrici.
Fonte: Digital Therapeutics Alliance Report
La frontiera che una raccolta più capillare dei dati indica per la scienza e per decisioni cliniche più efficienti ed efficaci da parte dei medici è infatti il campo nel quale si sta cimentando anche l’intelligenza artificiale: Google ha in più occasioni sviluppato progetti di applicazione di sistemi di deep learning alla scansione di immagini cliniche per favorirne una più estesa ed accurata lettura così da permettere una diagnosi più tempestiva in caso di anomalie. Si tratta infatti di iniziative volte a supportare, non sostituire, la decisione dei medici nel campo della dermatologia, della radiologia, dell’oftalmologia, della cura del cancro ai polmoni.
Questo cambiamento, favorito dalla familiarità con cui le persone si affidano alle tecnologie digitali grazie a smartphone, contapassi e smart-watch, non può però essere introdotto senza essere consapevoli delle cautele che occorre adottare tanto dal punto di vista individuale che legislativo: la funzione di saturimetro che il nuovo Apple Watch offre è solo un esempio dell’interesse che le grandi aziende digitali stanno mostrando sul monitoraggio corporeo del “quantified self“. E’ per questo che da molte parti – fra queste da parte di Eugeny Morozov, uno dei più lucidi osservatori di questi fenomeni – si osserva con preoccupazione al contestuale ruolo che, ad esempio Google, svolge in settori quali le assicurazioni e la pubblicità.
Consapevolezza individuale e attenzione da parte delle istituzioni sono pertanto entrambe necessarie a favorire di un uso proficuo della Rete su aspetti delicati quali quello della salute, tanto più in tempi come quelli che stiamo vivendo nei quali una condotta sanitaria corretta è prima di tutto un atto di responsabilità verso la collettività: la collaborazione dimostrata da Google e Facebook per mostrare le informazioni fornite dai Ministeri della Salute nazionali a fronte di ricerche legate al Covid-19 è solo l’ultima delle iniziative che già in precedenza avevano visto, ad esempio, l’Nhs britannica attivarsi per mettere a disposizione contenuti vocali in risposta a ricerche effettuate dagli utenti di Google Home.
La relazione fra tecnologia e salute si impronta pertanto alla classica raccomandazione secondo la quale non si deve gettare il bambino con l’acqua sporca: rivolgersi in modo superficiale alle informazioni fornite in Rete e condividere notizie false online sono atteggiamenti da abbandonare e, per molti versi, deplorare, ma non per questo non si deve assistere con interesse all’adozione di tecnologie digitali da parte delle istituzioni sanitarie, delle aziende digital, delle case farmaceutiche e dei medici fino ad arrivare al favore che si può tributare al miglioramento con la quale la documentazione clinica può essere conservata ed utilizzata grazie al cloud computing e ai tool di efficienza che il digitale offre ai medici nella quotidianità del loro lavoro e dell’aggiornamento professionale che è loro necessario e connaturato.
Se poi, sul fronte del marketing sanitario, piattaforme come Google My Business e Linkedin sono impegnati ad offrire nuove funzionalità per accrescere la visibilità di studi medici, ambulatori e professionisti, allora i cittadini e gli operatori sanitari potranno servirsene per cercare in modo efficiente il medico a cui rivolgersi sul territorio e valutarne, anche in questa forma, le caratteristiche e la pertinenza rispetto alle proprie necessità.